Scrittore statunitense. Fratello del filosofo William. La ricchezza e la cultura
eclettica del padre, convinto riformatore, permisero a
J., fin da
bambino, di viaggiare molto e di soggiornare a lungo in Europa. Rientrato negli
Stati Uniti, dopo aver vissuto in diverse città, quali Boston e New York,
frequentò per un solo anno l'università di Harvard per poi
dedicarsi completamente alla letteratura. Dal 1869, ritenendo che solo una terra
ricca di storia e di civiltà potesse offrirgli il materiale per
realizzare la propria arte, riprese i suoi viaggi in Europa (in particolare in
Italia, a Parigi e infine a Londra) durante i quali entrò in contatto con
autori importantissimi per le sue future scelte artistiche: Turgenev, Flaubert,
Maupassant, Zola, i Goncourt. Stabilitosi definitivamente a Londra nel 1876, vi
restò quasi ininterrottamente, fatta eccezione per le brevi e rare visite
in patria. Questo distacco "fisico" dal Paese e dalla famiglia non fu mai
tuttavia anche affettivo, come testimoniano l'immenso epistolario e la sua
stessa produzione letteraria. Alle soglie della prima guerra mondiale ottenne la
cittadinanza inglese. L'opera di
J. precorre e condiziona molti dei
processi metaletterari del romanzo del Novecento e si incentra sul problema
dell'artista e della difficile rappresentazione del reale, che per l'autore
consiste essenzialmente nell'eterno scontro fra Bene e Male: per
J.
è necessaria sia una narrazione il più possibile oggettiva, sia
un'esplorazione della coscienza morale dei personaggi, per renderne il dramma
dei dubbi e delle lacerazioni interiori. Questa tematica, eredità di
Hawthorne, si traduce nella prima fase della produzione di
J. nel
cosiddetto "tema internazionale": il confronto simbolico fra America ed Europa,
il rapporto culturale fra i due mondi, l'opposizione fra ingenuità e
purezza da un lato e sapienza e corruzione dall'altro. A questa fase
appartengono, ad esempio:
Un pellegrino appassionato ed altri racconti
(1875),
Roderick Hudson (1876),
L'americano (1877)
(V. AMERICANO, L'),
Gli Europei (1878),
Daisy Miller (1879) e il capolavoro di quegli anni:
Ritratto di
signora (1879). Ad una "fase mediana" appartengono
I Bostoniani
(1886),
Il carteggio Aspern (1888). In essi l'autore si cimenta in
tematiche di ordine sociale (dall'anarchia al primo femminismo), non sempre in
modo convincente ma acquisendo padronanza di nuove tecniche narrative, del
"divino principio dello scenario", che metterà a frutto nei capolavori
dell'ultima fase della sua produzione. Il "punto di vista circoscritto" e il
"centro di coscienza" permettono all'autore di presentare la realtà con
una visuale interna ai fatti, perciò limitata e ambigua e spesso in
contrasto con la visuale di altri centri di coscienza: esemplare in questo senso
il romanzo breve
Il giro di vite del 1898. Le tre grandi opere della
"fase maggiore",
Le ali della colomba (1902),
Gli ambasciatori
(1903),
La coppa d'oro (1904) rielaborano in sofisticati passaggi
metaforici il tema internazionale e rappresentano anche il punto di maggior
evoluzione stilistica della prosa jamesiana, ricca di circonlocuzioni,
anacoluti, deissi e riprese. Ricordiamo infine i tre volumi
dell'
Autobiografia, pubblicati rispettivamente nel 1913, 1914 e 1917 (New
York 1843 - Londra 1916).